Coro Parrocchiale di Flambro
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CELEBRAZIONE ECUMENICA DELLA PAROLA DI DIO - MORTEGLIANO
Paolo (25/01/2016)  



Il 25 gennaio 2016 alcuni componenti del nostro coro hanno rafforzato le fila del coro di Mortegliano diretto dal Maestro Gabriele Zanello per animare la Celebrazione Ecumenica della Parola di Dio presso la chiesa della Santissima Trinità di Mortegliano.

A guidare la veglia di preghiera Mons. Giuseppe Faidutti, arciprete della parrocchia cattolica di Mortegliano e Dieter Kampen, pastore luterano da Trieste.

Al canto processionale di ingresso "O luce gioiosa" e il saluto di benvenuto sono seguite le preghiere di invocazione allo Spirito Santo intercalate dal canto "Veni Sancte Spiritus, tui amoris ignem accende" e le preghiere di riconciliazione.

La Parola di Dio è stata proclamata con la prima lettura tratta dal libro del profeta Isaia "Chiunque ha fame e sete venga a bere e a mangiare: perché spendere soldi e dare tutto per qualcosa che non soddisfa? Venite a me e mangerete bene: ascoltatemi e vivrete!", con il salmo 145 "Il Signore è bontà e misericordia", con la seconda lettura dalla prima lettera di Pietro "Egli vi ha chiamato fuori dalle tenebre: ora siete il popolo di Dio" e infine con il Vangelo di Matteo con il racconto delle beatitudini.

Questo il commento di Mons. Giuseppe Faidutti.

LE BEATITUDINI

Il termine “beati” (in ebraico ASHREI) ricorre spesso nel Primo Testamento, specie nei Salmi. Ma ci sono tracce anche nei Proverbi: “Beato l’uomo che ha trovato la sapienza” (3, 13); “chi confida nel Signore è beato” (16, 20); ma anche nei profeti: “Beati coloro che sperano nel Signore” (Is 30, 18). Ma il vocabolo greco corrispondente (Makaros) è molto più pregnante. Nel Vangelo di Luca si dice “beato” chi invita al banchetto i poveri che non lo possono ricambiare (Lc 14, 13-14).
Dalla 1^ Lettera di Pietro colgo due citazioni in sintonia con le beatitudini: “E se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi !“ (3, 14); “Beati voi se venite insultati per il nome di Cristo, perché lo Spirito della gloria e lo Spirito di Dio riposa su di voi” (4, 13-14).

La beatitudine fondamentale è la prima, la porta che apre a tutte le altre. Si è discusso molto sulla parola “poveri”. Il termine greco indica il povero in senso materiale, lo scansafatiche, il parassita. Matteo coglie il senso primigenio del termine ebraico, che parla piuttosto di una “relazione” e vi aggiunge il dativo “allo spirito”. Allora il vero significato può essere: poveri in relazione a Dio, cioè coloro che si sentono poveri umanamente e, quindi, bisognosi di Dio. Insomma non sono i proletari, più o meno sindacalizzati; sono piuttosto coloro che, pur rimanendo attivi, sanno che la soluzione vera viene solo da Dio, che può rinnovare la coscienza dell’uomo. E’ questo l’atteggiamento base per riconoscere ed accogliere la grazia del Signore.

A questa beatitudine può essere assimilata l’altra: beati i miti perché avranno in eredità la terra. Forse sono le persone che non approfittano della loro posizione di forza; sono senza potere o, se ce l’hanno, non lo usano. Si potrebbe parafrasare così: beati coloro che non si fanno giustizia da sé, ma sperano soltanto in Dio; non usano mai la forza, lasciando nelle mani di Dio la loro causa. La terra è “la terra promessa”, dono di Dio; alla fine indica il “regno dei cieli”.

Beati gli afflitti o coloro che piangono. Il Terzo Isaia propone il mandato profetico di “consolare tutti gli afflitti... per dare una corona in vece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, canto di lode invece di un cuore mesto (61, 2-3); Come una madre consola il figlio, così io vi consolerò”( 66, 13). Innuisce una solidarietà con tutti i poveri, colmi di tristezza perché nel mondo non si compie la volontà di Dio; sono consolati perché si affidano totalmente alla bontà di Dio, l’unico vero difensore dei poveri.

Beati gli affamati e assetati della giustizia. La Bibbia parla della fame e sete della Parola di Dio o di Dio stesso (Dt 8, 3; Salmo 42) e presenta la felicità finale con l’immagine di un banchetto sovrabbondante capace di saziare tutte le attese dell’uomo. Ricordiamo solo il profeta Isaia, che parla di un banchetto universale preparato da Dio: “un banchetto di grasse vivande per tutti i popoli” (Is 25, 6); “O voi, assetati, venite all’acqua... mangerete cose buone e gusterete cibi succulenti” (Is 55, 1.2). In pratica si tratta di coloro che vorrebbero vedere realizzata la volontà di Dio sulla terra e si rendono disponibili a propugnarla nell’attesa di una pienezza finale: soprattutto si mettono al giusto posto per ricevere la grazia del Signore. “Cercate prima il Regno e la sua giustizia...” (Mt 6, 33), come ammonisce altrove lo stesso evangelista.

Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia. E’ lo stile stesso di Gesù, che emerge specie quando viene criticato dai farisei per la sua familiarità con i pubblicani ed i peccatori o per la sua tolleranza verso certi comportamenti non legali dei discepoli. In ogni caso Gesù si richiama ad Osea (6, 6), secondo il detto “misericordia io voglio e non sacrificio”. Sintomatica è la parabola del servo spietato nella quale Gesù indica la misericordia come stile del discepolo. E a parte l’invocazione specifica del Padre Nostro, anche il rafforzativo, che lo segue: “Se voi, infatti, perdonerete agli uomini le vostre colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Mt 18, 35). E’ l’anno del Giubileo della misericordia ad esprimere tutta la tenerezza di Dio per ogni umanità a stimolare tutti noi a condividere questa accoglienza di Dio tra di noi nella piena fraternità.

Beati i puri di cuore perché vedranno Dio. La speranza di “vedere Dio” ricorre spesso nel Primo Testamento assieme alla paura di incontrarlo, ma, in genere, ha un significato cultuale (=partecipare alle celebrazioni nel tempio). Ma chi può salire al Santuario? “Chi ha mani innocenti e cuore puro...“. II puro, in senso biblico, al di là del rapporto cultuale, è l’uomo retto, leale, sincero, sulla cui bocca non affiora l’inganno. A me piace sintonizzarlo con i “semplici di cuore”, aperti alla chiamata del Signore e pronti ad accogliere la sua grazia nella trasparenza del cuore. “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e dello terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza” (Mt 11, 25-26).

Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio. Si tratta forse dei pacifici, cioè di quelle persone tranquille, amanti della pace, indulgenti, pazienti, sempre disposti alla conciliazione, ma, forse meglio dei pacificatori, cioè degli operatori di pace, persone che si dedicano nella società a lanciare ponti oltre ogni contrasto. Per sé creare pace è prerogativa di Dio (Gdc 6, 23-24), ma a volte è attribuita anche ai sovrani illuminati come Salomone e, soprattutto, al Messia (Is 9, 5; Zc 9, 10). Attraverso questa beatitudine Gesù ci rivela lo scopo primario della sua missione: farci diventare figli di Dio, ma anche qui è ii mondo voluto da Dio, quello abitato da tanti fratelli.

Beati quelli che sono perseguitati a causa della giustizia... E’ strettamente legata alla successiva: chi non si adatta alla logica del mondo, chi non si conforma alle dinamiche del secolo paga il dazio della sua diversità. E’ il tema della fedeltà a Cristo nelle varie tentazioni e prove della vita. Già gli Atti degli Apostoli l’avevano confermato: “E’ necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel Regno di Dio” (At 14, 22). Questo travaglio è ben rappresentato dal libro della Sapienza (2, 18-22), le cui parole sembrano trascritte nel racconto dei calvario dello stesso evangelista: Ha confidato in Dio; lo liberi lui, ora, se gli vuoi bene” (Mt 27, 43). Insomma l’ultima parola è sempre di Dio che sigilla la storia con la vittoria dei giusti variamente indicati: poveri, miti o non violenti, misericordiosi, semplici di cuore, operatori di pace, perseguitati.

La beatitudine dei profeti

Il passaggio al “voi” ipotizza il nuovo soggetto della nona beatitudine, che è la chiesa. L’attenzione ora è rivolta ai primi ascoltatori, gli apostoli. Quindi si parla direttamente dei cristiani, che sono chiamati ad essere “profeti” nel Regno: ci sono oggi questi profeti in questa società liquida e secolarizzata? Si tratta di credenti, che conoscono il disegno di Dio, cercano di viverlo con coerenza e di proporlo nella storia. Il Regno di Dio è per tutti: cristiani, mussulmani, buddisti, animisti, anche per chi è temporaneamente senza Dio); la profezia, invece, è tipica dei credenti.
Allora la nona beatitudine trova uno sbocco nei detti seguenti di Gesù, che letterariamente continuano con il “voi”, ripetuto per ben 11 volte.

Voi siete il sale della terra
Voi siete la luce del mondo


È il Signore che parla alla sua comunità, a coloro che lo hanno accolto. Gesù continua a parlare con le beatitudini alla sua chiesa. Matteo le media alla sua comunità, di origine ebraica, fatta gran parte di “poveri” (2 Cor 8, 1-15; Rm 15, 25-26), perseguitata, odiata, radiata dal proprio popolo (At 8, 1-4; 9, 1-2); continuamente ostacolata nell’annuncio di Cristo (At 5, 41). A partire da Stefano costituiscono una lunga schiera di perseguitati, che continua drammaticamente ancora oggi nella storia, Il Signore Gesù ci chiama TUTTI ad essere:

SALE - A partecipare con tutte le forze per dare sapore al mondo, a non diventare mai insipide masse - a far assaporare il vero senso dell’esistenza umana nell’incontro col Signore.

LUCE - Gesù abilita l’umanità a “vedere”, a riconoscersi e a ritrovarsi, a prendere il giusto orientamento, a discernere gli eventi, ad interpretare l’esistenza e affida tale compito ai discepoli/profeti.

IL FARE - Gli uomini vedano le vostre opere buone. Non basta la saggezza della dottrina o la perfezione della Legge; quello che conta è partecipare, sporcarsi le mani mettendo in atto segni credibili, come le opere buone e ogni gesto di servizio e di amore.

IL FINE - Lodino il Padre vostro che è nei cieli. Nessuna autoreferenzialità o autodifesa, ma al servizio dell’umanità perché scopra la presenza di un Padre, che promuove la sua salvezza. Sulla bocca di Gesù la parola Padre (tuo, nostro, vostro) compare oltre 15 volte a scandire il delicato viaggio del credente, che si sente soprattutto “figlio” e lo testimonia coerentemente con la vita.


CONCLUSIONE

1. Dio vuole la nostra felicità.
Per questo possiamo dirci fortunatil Ma è proprio vero ? Oppure il timbro del nostro vivere è pieno di tristezza, di noia, di affanno, di amarezza, di tensione, di grigiore, di piattezza, magari in balia continua di stati d’animo contrastanti: un mix di tutto, senza una tonalità fondamentale di serenità, di gioia interiore, di attesa e di speranza?
Cito il cardinal Martini: ‘Le beatitudini Costituiscono l’atteggiamento di chi si è abbandonato a Dio, al quale tocca santificarlo, sostenerlo, proteggerlo, promuoverlo e non si aspetta che tutto si verifichi in maniera visibile e con successo mondano. Chi vive così raggiunge la serenità interiore, si sente a posto, sperimenta quella gioia spirituale che nasce dall’aver capito il cammino dei Regno” (Le Beatitudini — pag. 118).

2. Vogliamo scommettere sul futuro di Dio che le Beatitudini Io considerano già presente!
Tutti i verbi sono al futuro, ma le Beatitudini operano già ora “di essi è il Regno dei cieli” (Mt 5,3 e 10). Dio concede delle anticipazioni a coloro che accolgono la sua chiamata e la vivono. Ora tutti corriamo e non sempre sappiamo attendere con pazienza, accettando la prova, che ci matura. Più condividiamo gratificazioni e successi immediati, tanto meno siamo in grado di assaporare la gioia evangelica. Pur tra tante fatiche, a volte sofferte delusioni, non mancheremo mai di coltivare la gioia evangelica del seminare.

Mortegliano, 25 gennaio 2016.
Festa della Conversione di S. Paolo


Prima delle preghiere finali con il Padre Nostro, lo scambio della pace, la benedizione e il congedo l'assemblea ha compiuto il segno di avvicinarsi all'altare e accendere una candela gustando un pizzico di sale, gesto che ricorda l'invito ai cristiani di essere sale della terra e luce del mondo.

La celebrazione si è conclusa con il canto "Lodate Dio" con il testo tratto dall'Innario Luterano.